Più di 1 giovane su 3 (Nord e Sud), anche dopo una grossa vincita, si trasferirebbe all’estero

Federico Cremonesi Read more Corresponding author. federico.cremonesi@imiglioricasinoonline.net

Nato nel 1980 a Bologna, Federico Cremonesi è il fondatore di Imcoresearch e imiglioricasinoonline.net e ha conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Bologna nel 2005.

La sua passione per i dati, la statistica e la ricerca lo ha spinto a ottenere un Master in Data Science and Business Analytics. Le pubblicazioni di Federico hanno contribuito al dibattito nel campo delle dell’analisi dei dati applicata a temi cruciali come l’evoluzione dei media digitali, l’impatto delle tecnologie e il ruolo del gioco d’azzardo online nella società.

Federico Cremonesi è riconosciuto come un’autorità nel settore del gioco d’azzardo online, con una profonda conoscenza di casinò online, siti di scommesse e slot online. La sua esperienza pluriennale nel settore lo ha portato a fondare il rinomato sito imiglioricasinoonline.net, una risorsa di riferimento in Italia per trovare informazioni affidabili sui siti di gioco legali.

Oltre alla sua attività di ricerca e al suo coinvolgimento nell’ambito del gioco d’azzardo, Federico è un consulente molto richiesto nel campo della comunicazione digitale applicata al gambling online. Ha collaborato con importanti organizzazioni per sviluppare strategie di business, dimostrando la sua abilità nel tradurre concetti complessi in soluzioni pratiche.

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Highlights

Abstract

Sono tante le motivazioni che, negli anni, hanno portato gli italiani a essere un popolo di migranti ma, negli ultimi 15 anni, la “fuga di cervelli” non rappresenta solo le emigrazioni di massa dalle province più disagiate del Sud Italia ma quelle di tanti giovani laureati che vanno all’estero per cercare stipendi e vita migliori. In questo articolo analizzeremo vari studi che ci presentano la condizione attuale dei giovani italiani e un sondaggio, condotto da Pollfish, che indica nel 22% la percentuale degli italiani che cambierebbero nazione. Più uomini che donne, con un 34% di ragazzi tra i 18 e i 24 anni che lascerebbe subito l’Italia, anche dopo aver vinto una grossa somma di denaro (il sondaggio verte sulla reazione a una vincita consistente alla lotteria).

Keywords

emigrazione; estero; italia; giovani; fuga; cervelli; residenti; lotteria


Introduzione

Non sembra essere più una questione tra Nord e Sud d’Italia quella dell’emigrazione. Si nota, infatti, più un cambio generazionale che vede i giovani, anzi i giovanissimi (quelli tra 18 e 24 anni), già proiettati verso una vita all’estero. Studi importanti come AIRE o Fondazione Migrantes, sondaggi come quello realizzato da Pollfish e altre ricerche, ci porteranno a comprendere meglio questo fenomeno che, negli ultimi 15 anni, è risultato in aumento. Al punto tale, se vogliamo sottolinearlo, che un giovanissimo andrebbe via all’estero anche dopo aver vinto una cospicua somma di denaro alla lotteria. Emigrazione, dunque, che non considera solo la possibilità di una vita migliore solo legata al denaro che si possiede ma anche di qualità dell’esistenza stessa.

1. Sondaggio Pollfish, 2023

Questo sondaggio, realizzato da Pollfish, parte da un’idea molto interessante: cosa fareste se vinceste, inaspettatamente, 5 milioni di euro alla lotteria? Le risposte, ovviamente, hanno toccato vari aspetti della vita di ognuno e sono state molto differenti, così come differente è l’età dei 1000 partecipanti al sondaggio. Circa il 22% degli intervistati, alla domanda specifica sul cambiare città, regione o nazione dopo la vincita, ha risposto che lascerebbe l’Italia per risiedere all’estero, percentuale che aumenta al 34% nella fascia d’età più giovane tra 18 e 24 anni.

Anche lasciare la propria città è molto gettonato, con il 10,9 di percentuale, seguito da cambio regione con il 9,1. Queste percentuali, comunque, scendono di molto se a rispondere sono gli over 54 (solo un 14%).

Comunque, anche tra le generazioni precedenti (25-34 e 35-44) la media è di un 24%, mentre il gruppo 45-54 ha registrato una percentuale del 19% di coloro che lascerebbero l’Italia. Più gli uomini che le donne hanno questo desiderio di espatriare: è il 24,9% degli uomini a voler andar via rispetto al 18,6% delle donne.

2. Studio Fondazione Migrantes, 2020

Il “Rapporto italiani nel mondo 2020” della Fondazione Migrantes esamina i dati relativi all’anno 2019, prima della pandemia. Nel 2019 sono stati quasi 131mila gli italiani che hanno registrato la loro residenza all’estero, con un incremento di circa 2500 persone rispetto al 2018. La maggioranza degli emigranti è maschile (55,3%),con un 41% di giovani tra 18 e 34 anni ma anche famiglie con figli.Da questa analisi emerge un’altra questione: non è più il sud che emigra verso il nord o l’estero ma sono le aree interne di entrambe le zone (sia settentrionali che meridionali) a provare la “via di fuga”.

Il rapporto, in un contesto più ampio, rivela, poi, che in 15 anni, la mobilità italiana è cresciuta del 76,6%.Gli italiani, infatti, registrati all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, sono passati da poco più di 3 milioni nel 2006 a più di 6 milioni nel 2023.Il Regno Unito resta la meta preferita, seguito da Germania e Francia. Queste nazioni sono le preferite, appunto, per vari motivi: ristorazione, ingegneria, ambito accademico e altro. Per quanto riguarda le regioni, invece, è la Lombardia a essere prima per partenze (17,7%), seguita da Campania, Calabria, Veneto e Molise.

3. Analisi Lavoce.com, 2022

Uno studio di Lavoce.com del 2022 sottolinea come la pandemia da Covid abbia un po’ modificato il trend in crescita degli italiani all’estero. Sono stati circa 600mila gli italiani che, interpellati per questo studio, hanno risposto che sarebbero stati disposti a tornare in patria con le condizioni opportune. Si tratta, in prevalenza, di millennials molto qualificati che hanno deciso di emigrare per esigenze lavorative. Dal 2013 a oggi c’è stato, infatti, un aumento del 41,8% degli italiani che si sono trasferiti all’estero con un costo valutato in 14 miliardi di euro all’anno, circa l’1% del PIL nazionale. Questo è solo l’impatto economico, figuriamoci quello sociale e umano che sono inestimabili.

L’emigrazione italiana fa parte, comunque, della “Great Resignation”, un fenomeno globale in cui i lavoratori, tra i 30 e i 45 anni in prevalenza, decidono di lasciare i loro impieghi per poter riallineare valori e priorità personali con la propria vita professionale. Una ricerca condotta dall’associazione ChEuropa sostiene che il 27% degli intervistati (in prevalenza donne) ha considerato o accelerato i piani per rientrare in Italia post pandemia. L’associazione Controesodo, proprio su questo argomento, ha analizzato il rientro di circa 12mila persone grazie agli incentivi fiscali,messi in atto dal Governo, per favorire il rientro dei migranti. Sconti che, poi, vengono prorogati per 5 anni se il rientrante ha figli o ha acquistato una casa, segno di una volontà vera di volersi stabilire in Italia.

4. Referto sul sistema universitario della Corte dei Conti, 2021

Il referto analizza il fenomeno della “fuga dei cervelli”, accentuato dalla crescita degli iscritti nelle università italiane, del 3,8% negli ultimi 5 anni. Il dato che vede tanti giovani cercare la carriera universitaria porterebbe a immaginare una nazione più istruita e più costruttiva. In realtà, la situazione non è affatto questa: sono tanti i ragazzi che, completato il percorso di studi, decidono di lasciare il paese in cerca di opportunità migliori. I principali attori di questa emigrazione, come abbiamo già avuto modo di vedere, sono i giovani, specializzati in settori come ricerca e tecnologia. La mancanza reale di prospettive nel mercato del lavoro italiano è una delle principali ragioni per cui questi talenti scelgono di andar via. Oltretutto, la spesa pubblica per l’istruzione, nel nostro paese, è molto più bassa alla media della UE, un altro disincentivo a restare. Un fattore altrettanto critico è la disparità tra gli stipendi in Italia e quelli nel resto dell’Europa.

In Italia, un laureato guadagna solo il 39% in più rispetto a un diplomato mentre la media europea si attesta sul 55%. Questa differenza di salario, unita a un tasso di occupazione molto basso per i neolaureati, contribuisce all’idea di trasferirsi. Per mitigare questa fuga si potrebbero trovare dei modelli incentivanti come welfare aziendale o supporto per il bilancio lavoro-vita. Anche aggiornamenti professionali e formazione continua potrebbero servire per trattenere i nostri talenti.

5. Studio Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE), 2023

Secondo l’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE) a maggio 2023 sono più di 6 milioni di italiani che risiedono fuori dal Paese, circa il 10% della popolazione totale. Nel 2022, poi, sono circa 127mila le persone che si sono trasferite all’estero, con un aumento del 12% rispetto al 2021 (anno pandemico in cui c’è stata una sorta di pausa, come abbiamo visto).

Le province più colpite da questa emigrazione sono Enna, Agrigento, e Isernia, mentre quelle meno interessate includono Lodi e Prato. Negli anni recenti, se proprio vogliamo capire il trend in cui ci troviamo, anche città grandi come Bologna, Venezia e Firenze hanno registrato aumenti significativi nella mobilità verso l’estero. L’effetto è particolarmente accentuato nel Sud, questo è evidente da decenni, anche se l’incremento maggiore è stato osservato nelle province lombarde, venete ed emiliane.

Un aspetto cruciale è l’età degli emigranti: la fascia under 30 è particolarmente rappresentata, con una forte presenza di giovani tra i 30 e i 40 anni, età in cui si hanno competenze professionali già ben definite. Questi dati suggeriscono una sfida di portata nazionale, una perdita non solo demografica ma anche di capitale umano e di potenziale innovativo. Certo, se ci fosse una politica economica e sociale legata allo sviluppo di un benessere nazionale tale da poter vivere bene, sarebbe impensabile ragionare su numeri così alti ma l’Italia resta una nazione di emigranti perché non si vive bene.

Evidenze da studi sul campo

Che l’Italia sia un paese legato all’emigrazione è un dato di fatto conosciuto. Meno conosciuto è il perché, al di là della mancanza del lavoro, siano tanti i giovani che decidono, anche senza grossi problemi economici, di andare all’estero. Quello che si evince, tra studi e sondaggi, è che l’Italia sia un paese fermo in cui non ci sono corsi di formazione, non c’è benessere, non si cresce professionalmente con stipendi più bassi della media. La qualità della vita non è quella che ci si aspetta da un paese così bello in cui burocrazia e tasse la fanno da padrone. Non c’è via d’uscita, solo il Covid sembrava aver lasciato intendere un certo desiderio di rientro che, però, è stato subito smentito dai dati che hanno visto, nel 2022, un aumento dell’emigrazione del 12%.

Discussione finale

Gli studi, il sondaggio, le ricerche che abbiamo incrociato in questo articolo hanno portato tutti allo stesso risultato: i giovani non hanno voglia di vivere in Italia e, anche dopo aver vinto milioni di euro alla lotteria, cercherebbero di vivere all’estero o quanto meno desidererebbero cambiare città. Giovani, quindi, più ambiziosi dei loro predecessori, con una voglia vera di vivere meglio, anzi di vivere una vita in cui lo stipendio sia abbastanza alto da poter campare senza problemi, non oberati dalle tasse e con incentivi che permettano di lavorare al meglio in ambiti come ricerca e tecnologia. Non solo, infatti, abitanti di zone interne, più povere, ma tanti universitari che, dopo la laurea, cercano la loro strada fuori dai nostri confini. Cosa si può fare per invertire la rotta? Formazione, educazione, meno burocrazia, meno tasse, più rispetto per talento e istruzione, ecco cosa si potrebbe tentare per creare una nazione di giovani per i giovani.

Riferimenti

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